Home Magazine Il pennello di Venere. L’arte fa rima con donna?

Chi ha mai sentito parlare della “Tintoretta”, abile ritrattista cresciuta all'ombra dell'ingombrante padre dall'identico soprannome? E chi, leggendo su una lapide del cimitero di Passy "Berthe Morisot vedova di Eugène Manet" sospetterebbe che lì riposa la pittrice che ha fondato il movimento impressionista insieme a Monet, Degas, Pissarro, Renoir?

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Che l'arte non faccia rima con donna non è cosa nuova. Basti pensare che nella Storia dell'arte di E.H. Gombrich, tuttora uno dei libri d'arte più venduti e studiati al mondo, in una cavalcata che si snoda attraverso centinaia di pagine, l'artista tedesca Käthe Kollwitz è la sola cui sia stato concesso l'onore di essere citata. Una delle tante conferme di come la metà femminile dell'arte sia da sempre stata messa all'angolo, complice una tradizione tanto antica quanto miope che relegava tutta la conoscenza in mani maschili. Una tradizione la cui eredità, troppo pesante per essere cancellata, si insinua sorprendentemente fino ai giorni nostri.
Nel programma radiofonico della BBC Recalculating Art, andato in onda lo scorso agosto, la giornalista Mary Ann Sieghart al termine delle sue indagini nel mondo delle case d'asta e delle gallerie giunge alla scioccante conclusione che i dipinti maschili sono valutati 10 volte più di quelli femminili. Un divario che aumenta ulteriormente nel caso l'opera sia firmata e che lascia tanto più perplessi giacché le donne costituiscono oggi il 70% degli studenti nelle scuole d'arte. La Sieghart cita poi un'indagine condotta da una docente di Oxford. Mostrando a un gruppo campione una serie di dipinti creati dall'intelligenza artificiale, ai quali era stato casualmente assegnato un nome maschile o femminile, la maggioranza ha espresso gradimento verso quelli che credevano realizzati da artisti uomini. Un'ulteriore dimostrazione che il seme del pregiudizio non è ancora del tutto sconfitto.

 

Le pioniere dell'arte

A fronte di tutto ciò, possiamo solo lontanamente immaginare quali insormontabili difficoltà fossero costrette ad affrontare le pioniere dell'arte, donne coraggiose che per prime ebbero l'ardire di ribellarsi alle regole del loro tempo e rivendicare il proprio diritto a esprimersi. Un atto di ribellione che, ciascuna in modo diverso, hanno tutte finito per pagare. Per alcune il prezzo è stato la perdita della libertà e la reclusione fra le mura di un convento, per altre la solitudine, l'emarginazione, persino la violenza. Ma anche le poche che ebbero la fortuna di accedere a una formazione, dovettero fare i conti per tutta la loro carriera con le rigide limitazioni imposte alla loro creatività. Non tutto poteva essere insegnato a una donna. Non certo la geometria, la prospettiva e tantomeno l'anatomia, considerate materie incompatibili con la sensibilità femminile, la cui mancanza però precludeva loro irrimediabilmente l'accesso alla pittura di invenzione, confinandole a soggetti di genere come la natura morta o il ritratto. Tutte comunque, a prescindere da quanta notorietà abbiano conosciuto in vita, hanno pagato con l'oblio. Spesso le loro opere, di frequente non firmate, sono state attribuite ad altri e il loro ricordo, salvo qualche rarissima eccezione, è stato inghiottito da un silenzio durato secoli. I loro nomi, per la maggior parte noti solo a qualche esperto d'arte, sono oggigiorno oggetto di riscoperta. Profili social, saggi e talvolta romanzi ripercorrono le vicende di queste artiste dimenticate e vengono loro dedicate delle mostre, come quella della scorsa estate al Palazzo Reale di Milano, dal titolo Le signore dell'arte. Ma chi erano queste pioniere? Andiamo a conoscere alcune delle loro storie fuori dal comune, a partire dalle primissime che timidamente si affacciano sulla scena artistica quattrocentesca, fino a giungere alle soglie della modernità, con le protagoniste del XIX secolo.

 

Artiste del '400

Una delle prime di cui si abbia notizia è Santa Caterina Vigri, che nella prima metà del '400 si applica all'arte di miniare concentrandosi su soggetti religiosi. Non molto successiva è Antonia Doni, la figlia di Paolo Uccello. Ce ne parla il Vasari nella biografia del celebre genitore, raccontando che la giovane suscitava enorme curiosità solo per il fatto di essere versata nel disegno e che dovette farsi monaca carmelitana per poter coltivare la sua passione.

 

Artiste del '500

 

Sofonisba Anguissola, Autoritratto al Cavalletto, 1965. Courtesy of Anthony Bond, Joanna Woodall (2005). Self Portrait: Renaissance to Contemporary. ISBN 978-1855143579

 

Sempre il Vasari, nelle sue Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, mostrando una sensibilità di gran lunga superiore agli storiografi dei secoli successivi, nomina diverse artiste sue contemporanee e dedica addirittura un capitolo a Properzia de' Rossi, donna intraprendente che agli inizi del '500 osa cimentarsi nientemeno che con la scultura, scatenando un'infinità di invidie e maldicenze. Nello stesso capitolo è citato anche il nome di suor Plautilla Nelli, autodidatta di riconosciuta abilità, che dà vita una sorta di bottega all'interno del suo convento, e che "arebbe fatto cose maravigliose se, come fanno gl'uomini, avesse avuto commodo di studiare". Oltre la metà del secolo si disegnano le luminose parabole di altre due artiste che, al pari di alcune loro contemporanee fiamminghe ricercate in varie corti, riuscirono ad affermarsi fuori dal chiostro raggiungendo un notevole successo. Una è Sofonisba Anguissola, primo caso di nobildonna artista, che nel corso della sua lunga vita da romanzo costellata di viaggi e passioni, trasforma in valenti pittrici tutte le sue sorelle e poi diviene ritrattista alla corte madrilena di Filippo II, senza però poter firmare le sue opere né ricevere per esse alcun compenso ufficiale. L'altra, di qualche decennio successiva, è Lavinia Fontana, vera donna “pittora”, che mentre partorisce 11 figli, lavora senza posa al servizio della corte pontificia e, seppur dietro il paravento socialmente accettato di gentildonna che dipinge per piacere, alimenta di fatto una florida impresa commerciale gestita prima dal padre e poi dal marito.
Di Marietta Robusti, la figlia prediletta a cui il Tintoretto non permetterà mai di spiccare il volo abbiamo già fatto menzione. Al pari di questa giovane, prematuramente scomparsa, anche la carriera della ravennate Barbara Longhi, figlia d'arte a sua volta, è destinata a restare principalmente circoscritta alla cerchia domestica.

 

Artiste del '600

 

Fede Galizia, Giuditta con la testa di Oloferne, 1596. Courtey of Galleria Borghese

 

Il '600 vede sbocciare una più corposa rosa di nomi, fra cui spicca quello di Artemisia Gentileschi. Formatasi nella bottega del padre Orazio, da cui eredita il talento e lo stile di matrice caravaggesca, appena diciottenne resta segnata in modo indelebile nell'animo e nella reputazione dal processo pubblico per stupro, durante il quale viene anche sottoposta a tortura. La forza con cui riuscirà a reagire, divenendo imprenditrice di se stessa e costruendosi una luminosa carriera che la porterà fra l'altro a essere la prima donna ammessa all'Accademia del disegno di Firenze, la rende tutt'oggi un'icona dell'orgoglio femminile.
Anche Giovanna Garzoni, celebre per le sue illusionistiche nature morte dipinte a guazzo, viaggia fra Napoli, Torino, Venezia e Roma, dove viene anche accettata alla prestigiosa Accademia di San Luca. Una vita vuota di eventi è invece quella di Fede Galizia, interamente vissuta nella bottega del padre, miniaturista e decoratore attivo nella Milano di inizio '600. Eppure quanta poesia nelle sue nature morte di profondo realismo, quanta sensibilità nei suoi ritratti e quanta maestria nei dettagli quasi fiamminghi dei suoi soggetti biblici, tutte testimonianze di un enorme talento che avrebbe meritato ben altra ribalta.
Un caso particolare è quello delle sorelle Caccia, tutte precocemente destinate a prendere il velo. Il padre, un pittore del Monferrato denominato il Moncalvo, per tenersele vicine arriva a costituire fra le mura domestiche una congregazione monastica a vocazione artistica formata dalle sue figlie. Orsola, la più dotata, ne diviene badessa e porta avanti per oltre cinquant'anni quella prospera attività familiare. Nel panorama artistico seicentesco un posto di primo piano spetta anche a Elisabetta Sirani, che assume la direzione della bottega del padre, un affermato artista bolognese allievo di Guido Reni, divenuto inabile a dipingere a causa di una malattia degenerativa alle mani. Elisabetta dà vita a un fiorente cenacolo artistico tutto al femminile, da cui escono allieve come Ginevra Cantofoli, sul cui lavoro di recente si sta puntando l'attenzione degli studiosi. Artista incredibilmente prolifica, la Sirani mostra anche doti manageriali molto spiccate che la portano in breve ad essere molto ricercata e apprezzata dai collezionisti. Un successo che può forse aver suscitato delle invidie e che ha indotto molti a ipotizzare un possibile avvelenamento come causa della sua improvvisa morte, a soli 27 anni.

 

Artiste del '700

 

Élisabeth Louise Vigée-LeBrun, Self Portrait, 1790. National Trust Images

 

Nella Venezia di inizio secolo matura il precoce talento di Rosalba Carriera. Le sue miniature e i suoi ritratti sono eseguiti a pastello con morbidi tratti sfumati, una tecnica inconsueta che lei padroneggia da vera virtuosa, mettendo a punto anche ricette personalizzate per ottenere colori più brillanti. Diventerà una delle figure artistiche più celebri di tutta Europa, una vera donna imprenditrice, a capo di una bottega al femminile. Totalmente diversa è la vicenda di Giulia Lama, che negli stessi anni, sempre nella città lagunare, dipinge e compone versi fra le pareti della bottega paterna rifuggendo salotti, successo e mondanità. Anche Giulia possiede però una personalità originale e anticonformista, e lo testimoniano gli studi di nudo maschile e femminile ritratti a carboncino dal vero. Qualcosa che non si fatica a immaginare quanto debba aver scandalizzato la borghesia benpensante del tempo.
La seconda metà del secolo vede emergere due straordinarie ritrattiste. Élisabeth Vigée Le Brun, tanto affascinante e libera da attirare ogni genere di maldicenze, conquista il favore di Maria Antonietta e del suo entourage. Una protezione che le porta vantaggi e riconoscimenti, ma che allo scoppio della Rivoluzione la costringe a fuggire in Italia. Anche Angelika Kauffmann, grande esponente del neoclassicismo, figura fra le donne più emancipate della sua epoca. Artista cosmopolita e di successo, ritrae l'alta società; i suoi studi di Londra e Roma divengono punti di riferimento dell'élite culturale dell'epoca e le sue amicizie spaziano da Goethe a Canova, che vorrà addirittura organizzare personalmente il suo funerale.

 

Artiste del '800

 

 

Apparso nel bel mezzo di un secolo che molto più del precedente incatenava il mondo femminile a un ruolo domestico, il dipinto Nameless and Friendless di Emily Mary Osborn è passato alla storia come il manifesto della donna artista in epoca vittoriana. Vi è raffigurata una pittrice che, con sguardo mesto, propone il proprio lavoro a un mercante d'arte, il quale lo esamina con ostentata sufficienza. L'opera tradisce il desiderio di affermare il proprio ruolo, ma è anche una palese denuncia degli ostacoli e della diffidenza inevitabili sul cammino di ogni donna artista.
Ostacoli ben noti anche a Berthe Morisot e all'americana Mary Cassat, entrambe pioniere dell'impressionismo e sempre presenti in quasi tutte le mostre del movimento. Con le loro tavolozze pastello, le pennellate sciolte e velate, la ricerca di una profondità psicologica dei volti con l'intento, come affermato dalla Cassat, di rappresentare le donne come soggetti e non come oggetti, le loro opere sono spesso etichettate dispregiativamente dei critici come “arte femminile”. Difficoltà anche maggiori sono quelle incontrate da Marie Bracquemond. Dapprima allieva di Ingres, il quale non si preoccupa di celare i suoi pregiudizi verso la pittura delle donne, si avvicina all'impressionismo incontrando però la ferma opposizione del marito Felix Bracquemond, noto artista a sua volta. Una contrarietà che finirà per logorarla, inducendola alla fine ad abbandonare i pennelli.
Una storia di riscatto è invece quella di Suzanne Valadon, chiacchierata modella e musa fra gli altri anche di Renoir, Toulouse-Lautrec e Degas, la quale con grande determinazione riesce a passare da un lato all'altro della tela, divenendo artista lei stessa.
Icona dell'indipendenza femminile è poi Rosa Bonheur che, indifferente alle critiche e ai dileggi, non esita a rompere tutti gli stereotipi. Con indosso vesti da uomo, nel castello di By dove vive insieme alla sua compagna, si circonda di animali perlopiù esotici che dipinge con stile realista raggiungendo grande fama, fino a divenire la prima donna insignita della Legion d’Onore.

 

E oggi?

Dopo aver continuato a lottare per tutto il '900, dalle avanguardie al contemporaneo, ampliando via via il loro raggio d'azione per abbracciare sempre nuove modalità espressive nel tentativo di essere riconosciute come soggetti artistici, le donne si ritrovano tuttora alle prese con un mercato dell'arte che, come già ricordato, conserva pregiudizi duri da scalfire. Eppure qualcosa sta cambiando. La stessa Mary Ann Sieghart, in un articolo apparso su The Guardian, scrive che molti musei stanno cominciando a bilanciare le loro collezioni inserendo arte femminile e che, seppur partendo da una base inferiore, il più rapido incremento dei prezzi delle opere di donne sta cominciando ad attirare anche l'interesse degli investitori. Per respirare questo vento di cambiamento, basta varcare la soglia della 59ª biennale di Venezia, che chiuderà i battenti il 27 novembre prossimo. Intitolata Il latte dei sogni in onore delle favole surrealiste di Leonora Carrington, la kermesse vede la presenza di 191 artiste, alcune delle quali finora del tutto ignorate o misconosciute, contro soli 22 artisti. La curatrice Cecilia Alemani prende però le distanze da chi le chiede ragione del fatto di aver concepito una Biennale fortemente sbilanciata verso la donna. Come riportato in un'intervista apparsa poco prima dell'inaugurazione, si limita a osservare quanto sia triste che tali accuse non siano mai state rivolte in passato a un curatore di sesso maschile, quando la presenza di artisti uomini superava l'80%.

 

Cover image: Artemisia Gentileschi, Ritratto con l'allegoria della Pittura, 1639. Courtesy of Royal Collection Trust / © His Majesty King Charles III 2022

Written by: Chiara Montani

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