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“Non ci si può addentrare negli anni Sessanta senza imbattersi in trasformazioni radicali, senza misurarsi con un’idea di realtà che cambia più fatalmente di quella dell’arte” (Fabio Mauri).

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Tra la fine degli anni Cinquanta e Sessanta, il nostro paese vive una fase di benessere senza precedenti: nel cuore della cosiddetta golden age, il prodotto interno lordo per abitante aumenta a un tasso medio annuo del 6,3%. Ma parallelamente ai primi segni di boom economico, liberalizzazione dei costumi e modernizzazione, intorno al 1964, l’Italia si trova a fare i conti con una crisi di governo e turbolenze finanziarie. Molti nodi all’interno della società gerarchizzata e del sistema borghese vengono al pettine. Si aprì una stagione di forti rivendicazioni per operai, studenti edonne. E come la società, così anche gli artisti lanciarono un messaggio provocatorio e dissacrante nei confronti della società del consumismo e del benessere individuale.

1. Una decade di sperimentazioni: l’arte degli anni ’60.

Gli anni Sessanta e Settanta del Novecento furono un periodo di grande fermento anche nell’arte italiana. Si mette in moto un cambiamento nell’essenza e nella forma dell’arte, un superamento della pittura, della scultura, della poesia e della musica. Come scrive Lucio Fontana nel Manifesto Blanco (1946): “È necessaria un’arte maggiore in accordo con le esigenze dello spirito nuovo”. La relazione tra l’arte e la realtà del mondo quotidiano si fa sempre più forte. Ciò che vogliono riscoprire gli artisti è la natura fuori da sè, trascendendo tutte le tecniche artistiche tradizionali e uscendo dagli spazi canonici dell’arte, musei e gallerie. Anche delle lotte e delle tensioni si fecero portavoce i gruppi artistici di avanguardia, con mostre, performances e manifesti. “La più grande arte sarebbe quella di far vivere la vita sempre”, sostiene Michelangelo Pistoletto.

Nouveau réalisme

Nell’ottobre del 1960 a Milano, in occasione di una mostra del gruppo dei nuovi realisti, coordinato dal critico francese Pierre Restany, alla galleria Apollinaire, viene pubblicato il Manifesto del nouveau réalisme. Questi nuovi realisti “considerano il mondo come un quadro e ci mostrano il reale negli aspetti diversi della sua totalità espressiva” (Restany). Attraverso il recupero del rapporto con lo spazio pubblico - lo spazio della strada, da cui si prelevano i materiali più disparati: i relitti della società industriale (rottami di ferro, resti di cibo, avanzi, piatti rotti) - l’artista diviene colui che utilizza tutte le immagini, le tecniche e gli oggetti, come elementi comuni di consumo, della moderna società che gli si presenta. Manipolazione, assemblaggio, accumulo e stratificazione diventano parte integrante del nuovo linguaggio dell’arte. Mimmo Rotella (1918-2006), unico italiano del gruppo, trasforma, come un sapiente bricoleur, i collagesin “decollages”. I cartelloni pubblicitari o manifesti cinematografici vengono letteralmente strappati dal contesto urbano e rivitalizzati su altri supporti, alla maniera del “détournement” situazionista.

 

Mimmo Rotella, Marilyn, 1979, decollage su tela, 70 x 50 cm, con cornice, © RoGallery.

 

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Come ulteriore sviluppo di questo movimento realista, ci sono le ricerche dell’arte meccanica(Mec Art) alla quale aderiscono lo stesso Rotella, il fotografo Bruno Di Bello, Gianni Bertini, Elio Mariani che propongono opere che prevedono l’impiego del mezzo fotografico e tipografico, come nel caso anche delle spericolate sperimentazioni di Cioni Carpi e Gianni Melotti. 

L’arte nuova di Lucio Fontana (1899-1968), invece, contiene le cinque dimensioni dell’esistenza: colore, spazio, suono, tempo e movimento, che si sviluppa nel tempo e nello spazio. Attraverso il Movimento spaziale o Spazialismo, della fine degli anni Quaranta e l’inizio dei Sessanta, Fontana creò una serie di “ambienti” (celebrati da una suggestiva mostra del 2018 presso Pirelli Hangar Bicocca di Milano), accesi dalla luce di wood, per indagare le infinite possibilità formali dello spazio, creato e non rappresentato, azzerato e nero, bucato o aperto. Sulla scia delle ricerche sperimentali di Fontana si innescano altre nuove esperienze artistiche. 

 

Lucio Fontana, Ambiente spaziale a luce nera, 1948-49-2017, veduta dell’installazione in Pirelli HangarBicocca, Milano, 2017. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano. ©Fondazione Lucio Fontana. Photo Agostino Osio.

 

L’arte di matrice concettualedi Piero Manzoni (1933-1963) che, dopo i monochromealla Yves Klein, realizzò gli “Achrome”, oggetti senza colore tra l’astrattismo e il ready-made, come le sue rosette ricoperte da polvere di caolino.

 

Piero Manzoni, Achrome, 1962 ca., panini e caolini, 31 x 31 cm, © Piero Manzoni.

 

L’arte concettuale “pura” di Vincenzo Agnetti che si distinse per una fortissima componente ideologica. Le sue operazioni concettuali, come nel Libro dimenticato a memoria(1970), di cui restano solo i contorni delle pagine, si collocano in territorio nebuloso tra vissuto, visivo e mentale. L’azzeramento del pensiero sull’arte.

 

Vincenzo Agnetti, Libro dimenticato a memoria, 1970, libro svuotato e fustellato al centro, segnalibro bianco, copertina grigio antracite, cm 69,5 x 50,5 x 2,5, © Vincenzo Agnetti.

 

L’arte basata sulle teorie percettive e cinetiche del Gruppo di ricerca costituito da Enzo Mari, Bruno Munari, Piero Manzoni, Enrico Castellani e Agostino Bonalumi, che si incontrava nello spazio espositivo Azimut, a Milano, tra il 1959 e il 1960, Nuova Tendenza, il Gruppo T e il Gruppo N. Di forte derivazione avanguardista,l’arte cinetica e programmatasi appropria di materiali e strutture industriali con qualità formali ed estetiche per creare progetti aperti al reale e manipolabili dallo spettatore. Pulsanti, leve, interruttori e meccanismi che richiedono una partecipazione attiva.

La Pop Art italiana

Alla Biennale di Venezia del 1964, la Pop Art trova grande risonanza anche sulla scena artistica europea, mentre il nuovo fenomeno dilaga ampiamente negli Stati Uniti, grazie ad artisti come Andy Warhol e Robert Rauschenberg. Molti artisti italiani - dalla scuola romana di Piazza del Popolo (Tano Festa, Mario Schifano) ai milanesi Alik Cavaliere, Emilio Tadini, Valerio Adami e Michelangelo Pistoletto - rielaborano il linguaggio pop in chiave personale, umanistica e letteraria. Ricercando un equilibrio tra tradizione e contemporaneità, ironia e storia, memoria e impegno sociale, spesso gli artisti pop italici esprimono il loro dissenso nei confronti della civiltà dei consumi e della sua enfatizzazione, scontrandosi apertamente 

 

Tano Festa, Michelangelo secondo Tano festa, 1966, smalto su tavola, 81x100cm, Roma, Collezione privata.

 

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Poesia Visiva

L’interazione tra segno e parola, segno e immagine viene indagato, a partire dalla prima metà degli anni Sessanta, da un gruppo di artisti che, riuniti sotto il segno di una nuova poesia d’avanguardia, si fanno chiamare poeti visivi. Le parole e le immagini che prendono corpo all’interno della struttura stessa dell’opera pittorica diventano gesto poetico. Verso una poesia totale o un’idea di parola come corpo si direzionano alcuni artisti fiorentini - Giuseppe Chiari, Lamberto Pignotti e Ketty la Rocca - insieme a Emilio Isgrò e Vincenzo Accame. 

 

Ketty La Rocca, Non commettere sorpassi impuri, 1964-65. Collage plastificato. 100 x 65,5 x 1,5 cm. Courtesy Archivio Ketty La Rocca, Firenze.

 

Arte Povera 

Ma è con l’Arte Povera che l’Italia realmente ritorna ad essere al centro del dibattito artistico internazionale. Nella seconda metà degli anni Sessanta, nella città dell’industria e capitale dell’auto, la Torino futurista, che vive gli anni del miracolo economico, viene fondato un nuovo movimento. Coordinato criticamente da Germano Celant, recentemente scomparso, il gruppo di Arte Povera ricerca un linguaggio in sintonia con la natura e aperto al mondo delle cose che sia “direttamente vissuto”. Nel libro “Arte Povera” (1967) di Celant sono documentati i lavori di molti artisti poveristi: Michelangelo Pistoletto, Mario Merz, Luciano Fabro, Giovanni Anselmo, Giulio Paolini, Pier Paolo Calzolari, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Alighieri Boetti e Gilberto Zorio. Fu proprio il Movimento Poverista, alla Biennale di Venezia del 1968, nella mostra dal titolo “Arte Povera + Azioni Povere” a teorizzare e mettere in pratica l’apertura e la partecipazione degli artisti alle rivendicazioni sociali e politiche della società. Luciano Fabro, per esempio, lavora molto su un’attitudine concettuale, la tautologia (primo strumento di possesso sul reale) impiegando solo elementi naturali, come per la sagoma dell’Italia, realizzata in pelliccia, vetro o materiali morbidi.

 

Luciano Fabro, L’Italia rovesciata, 1968. MASI, Lugano. Deposito da Collezione privata. Photo Archivio Luciano e Carla Fabro, Milano. 

 

2. L'arte che si interroga su se stessa.

Con i suoi famosi tagli (Concetti spazialio Attese), inflitti alla superficie bidimensionale della tela, verso la fine degli anni Cinquanta, Lucio Fontana inizia ad indagare un nuovo spazio invisibile: il “vuoto” o spazio come strutturazione dell’assenza. La dimensione spazio-temporale assume un ruolo fondamentale nella costruzione di un’opera così come la superficie diviene un elemento problematico, da travalicare. Il mistero del vuoto, dell’astrazione metafisica diventa il mistero della creazione scientifica e dell’universo stesso. L’opera viene, per la prima volta, lacerata, ferita, fatta a pezzi e i solchi diventano materia. Materia che sottolinea lo spazio, vuoto che rimarca lo spazio e lo spazio che si sprigiona nel rapporto tra superficie e vuoto.

 

Lucio Fontana, Concetto Spaziale, attesa, 1967, pittura ad acqua su tela, 55.0 x 46.0 (cm), © Tornabuoni Art

 

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Con il Nouveau réalisme, c’è un nuovo avvicinamento percettivo al reale. Nella ricerca artistica subentra l’idea di provocazione. La poetica sperimentale degli oggetti tridimensionali, desunti dalla realtà e assemblati, ha gonfiato un senso nuovo di qualità e contribuito ad un cambiamento epocale. Una metamorfosi della visione, della funzione dello sguardo. C’era in questo linguaggio realista, così come negli artisti “popular” italiani, un certo impegno critico, un distacco, una forma di ironia che in quegli anni ancora non esistevano.

Il dipinto, per la pop art nostrana, diventa uno schermo su cui proiettare l’immaginario della comunicazione di massa e un mezzo per consumare l’arte stessa con citazioni e frammenti.

L’Arte Povera propone il rifiuto dell’arte ricca della società borghese a vantaggio di “una vita, un lavoro, un’arte, una politica, un pensare, un agire poveri”. Nella regressione a un grado zero dell’immagine e ad una naturalità estremizzata, si può invocare qualsiasi distinzione tra arte e vita. Nell’impiego di terra, acqua, fuoco, cuoio, cera o metallo, catrame, ghiaccio, sostanze chimiche, si abbattono le distinzioni tra pittura, scultura e teatro. L’arte diviene “una sorta di condizione sperimentale in cui si sperimenta il vivere” (John Cage).

 

Gilberto Zorio, Stella per purificare le parole (Star to Purify Words), 1978, (223.5 x 229 x 61cm.), © Christie’s.

 

3. Alla riscoperta delle figure di Cioni Carpi e Gianni Melotti. 

La Fondazione Ragghianti di Lucca ha recentemente accolto una mostra, “L’avventura dell’arte nuova | anni 60-80”, per rendere omaggio a due figure artistiche diverse tra loro e poco conosciute, ma emblematiche per comprendere più da vicino lo spirito pionieristico e multiforme dell’arte italiana tra gli anni Sessanta e Ottanta del Ventesimo secolo: Cioni Carpi e Gianni Melotti.

Cioni Carpi, nome d’arte di Eugenio Carpi de’ Resmini, é nato a Milano nel 1923 e poi scomparso nel 2011, mentre Gianni Melotti è un “boomer”, nasce a Firenze nel 1953. Cioni Carpi è intellettuale-artista complesso, anticonformista e poliedrico. Figlio d’arte, Cioni Carpi - dopo essersi dedicato alla pittura negli anni Cinquanta a Parigi - negli Stati Uniti conosce la regista statunitense di origine ucraina Maya Deren che lo spinge verso la sperimentazione cinematografica. Dal 1959 al 1980 realizza numerosi film d’artista, progetta scenografie per il teatro e collabora con alcuni compositori per i quali realizza filmati e proiezioni. Insieme a Franco Vaccari, entra a far parte del gruppo della Narrative Art che, tra le pratiche concettuali degli anni Settanta, si distingue per l’indagine condotta sulle fratture del rapporto tra fotografia e scrittura. Cioni Carpi ha dunque liberamente utilizzato per la sua ricerca la fotografia, le installazioni, le proiezioni di luce, il video, partecipando due volte alla Biennale di Venezia, nel 1978 e nel 1980.

 

Cioni Carpi, L’iconografia e l’iconoclasta, 1977, Fotografie ai sali d’argento, Archivio Gianni Melotti.

 

Originale, ironico, trasgressivo, Gianni Melotti si accosta alle sperimentazioni cameraless (senza uso della macchina fotografica) in bianco e nero e alle opere tridimensionali su tessuti decorati, nella prima metà degli anni Settanta, frequentando attivamente a Firenze diversi spazi, come Zona non profit art space, la Galleria Schema, la Galleria Area, che sono stati centri-chiave per l’arte contemporanea in Italia, da cui sono transitati i grandi nomi dell’avanguardia artistica internazionale. Qui si intersecano architettura e design radicale, editoria, cinema d’artista, video, musica contemporanea e il libro d’artista, il multiplo. L’interazione tra le diverse forme d’arte è la cifra stilistica dell’Arte Nuova che ne ha permesso il vivace e sorprendente fermento. 

 

Gianni Melotti, Un giallo a Genova, 1979 (recto serie di 6), © Gianni Melotti.

 

Immagine di copertina: Lucio Fontana, Concetto Spaziale, attesa, 1967, pittura ad acqua su tela, 55.0 x 46.0 (cm), © Tornabuoni Art.

Scritto da Petra Chiodi