Home Magazine Alessandro La Motta: La parte, il frammento e poi, il tutto.

L’artista italiano Alessandro La Motta risponde alle domande della redazione di Kooness. Ad introdurlo, l’attenta analisi condotta da Roberta Tosi ne L’ultima obbedienza.  

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Il mito accede a uno sguardo diverso del mondo, a un orizzonte che si addentra nell’invisibile, squadernando la realtà. Cos’è il mito? Ha a che fare con la verità, la verità ultima ma non è verità. A volte è una fragile brezza racchiusa tra le labbra di splendide dee e arcaiche korai, ma è anche una folgore, una tempesta nascosta nei sogni dei temerari, nell’utopia di animi inquieti. Accede alla necessità, alla memoria, a radici che diventano narrazione oppure destino, ma è anche fenomeno e speranza, corrispondenza di senso e vertigine ineguagliata. Il mito attraversa così le ere, travalica il tempo nella sua forma del dare e del prendere, generando rappresentazioni e simboli e fede. E s’invera, diventando carne e vita, si fa storia, trova la sorgente e si scopre nel cuore dell’essere umano fin dalle sue origini. (...).

Qui, nelle fessure della materia, nelle insidie dell’esistenza, tra i suoi splendori e i suoi inafferrabili pensieri si sporge la mano del cercatore, del poeta, del pittore.

Perché nel mito c’è qualcosa di irrinunciabile e che splende. (...).

Alessandro La Motta, Afrodite sognante, 2022. Courtesy of Stefanini Arte

Cosa cerca allora la mano di Alessandro La Motta? Cosa trattiene nel cuore quando lavora con l’olio, la cera, schiude il legno a raccogliere forme, impone al gesso, alla tela i gesti estremi di una bellezza eterna? Nel suo sguardo sorgono immagini come grida nel tempo e che al tempo appartengono, volti come ossessioni che si inseguono e accarezzano la materia con forza e delicatezza, cercando di mettere a tacere ciò che brucia e si scuote in fondo all’anima. Sono crepe, squarci rubati e forgiati nella loro purezza in una sorta di spazio ideale. (...).

Sarà per questo che sorgono come fenici, ma non dalle proprie ceneri perché non se ne sono mai andati veramente, i volti di Afrodite, Ulisse, Demetra, Efesto, Poseidone... lacerti strappati al fuoco e al vento, alla terra e all’acqua, assenza di corpi colmati dalla presenza di sguardi e labbra in attesa di nuove parole da pronunciare. Frammenti evocatori d’immagini compiute, fissati nella loro stessa eternità. Forme che attendono, sospese. E l’artista le nomina. Una a una. (...)

Alessandro La Motta, Afrodite “Il fiore di bellezza”, 2022. Courtesy of Stefanini Arte

Torna Omero e torna Dante e i poeti, gli scrittori, gli artisti prima e dopo di loro. S’inserisce qui allora la tensione che muove il gesto, lo spirito dell’artista, in questo movimento che è svelamento e apparizione insieme e per farlo Alessandro scava, come fosse un archeologo. La sua diventa una ricerca inesausta tra le stratificazioni, i depositi geologici che conosce solo l’arte. Lo spinge quello spirito sopravvissuto e mai davvero appagato che custodisce in ogni eidos e lo costringe a ricominciare ogni volta, come fosse la prima. Lo assedia la sua origine, di fuoco e passione, illuminata dal calore della terra di Sicilia, sua patria d’origine. Scava allora l’artista per esaltare ciò che appare dimenticato e renderlo manifesto nella materia, nello splendore ferito e incompiuto come se dovesse sempre sfidare ciò che è inafferrabile, lasciando scorgere, intravedere tra le pieghe del colore, quello che non si può del tutto rivelare. La Motta lo fa recuperando le radici profonde che appartengono alle origini, quelle mediterranee, echi che soffiano con il vento nelle vele gravide di memorie, leggende e che profumano d’antico, e di gelsomino. Si scopre poeta quando cerca la parola esatta da scolpire come fosse pietra tra le pieghe del suo sentire. (...).

«L’armonia del cosmo è effetto di tensioni contrastanti, come quella dell’arco e della lira», diceva Eraclito. A questa armonia guarda in fondo La Motta, cercando di restituirne la compiutezza, saccheggiando l'istinto, avvertendo l’inquietudine nel momento in cui ne coglie le inesauribili sfaccettature. Si svela così una presenza, colma d’assenza. «Forse l’assenza è l’opera d’arte», aveva scritto Pierre Fédida, guardando all’immagine che si fa respiro per l’altro, aria e vuoto... In questi volti antichi, quasi nostalgici eppure modernissimi, che l’artista porta alla luce estraendoli dal baratro delle proprie inquietudini, si scopre dunque la ferita, la mancanza, lo sguardo vuoto quasi scarnificato degli dei, colmo della nostra essenza. (...)

Alessandro La Motta, I tormenti di Afrodite, 2022. Courtesy of Stefanini Arte

«Bellezza, portami qui, nel cuore profondo dell’esistenza, dove dolore e gioia si mescolano nel liquore sacro della vita...» ha scritto il poeta Davide Rondoni.

La bellezza spalanca allora voragini, vertigini che trafiggono l’essere umano e lo rivelano a se stesso e a ciò che lo eccede. E la ricerca di La Motta ne ferma le apparizioni, l’istante che si perpetua inesauribile, quasi si potesse sigillare nel tremito della voce e nel calore che plasma la forma, ogni forma, come fosse creta sopravvissuta agli affanni del tempo. Il suo viaggio è quello che lo vede ancorarsi al mito come ultima obbedienza all’arte per un destino di bellezza che possa ricominciare nel paradosso del fare e del disfare continuamente, nel frammento nostalgia del tutto e per scoprire, noi, quale sguardo, quale canto, quale mito, poter ancora abitare.

Alessandro La Motta, Afrodite “Arcaica bellezza”, 2022. Courtesy of Stefanini Arte

Kooness: Cosa rappresenta la sua opera d'arte?

Alessandro La Motta: Il lavoro di questi anni è innanzitutto un viaggio. Una rilettura del mondo classico, della civiltà mediterranea e in particolare sulle tracce greche di Sicilia, culla del mito e mia terra di origine.

Sono tracce che partono dall’Asia Minore, nel bacino orientale del Mediterraneo e passano dalla Grecia Antica ai Romani, dai Fenici agli Etruschi; attraverso incontri e contaminazioni, queste civiltà resero la Magna Grecia il vero e proprio centro fecondo.

Questo viaggio dentro la grande civiltà del Mare Nostrum, è diventato anche, un viaggio fisico, fatto di opere straordinarie e di luoghi come musei a cielo aperto, avvolgenti e sensoriali, di scorci sorprendenti in cui inciampi, mentre cammini.

E’ come ritrovare un amico o far visita a un vecchio parente, il ritorno a casa tra cose familiari. E’ un profumo che resta nella memoria olfattiva.                                                            

K: A cosa si ispira?

ALM: L’attenzione sul mito ha un’impronta culturale, che si intesse con i manufatti antichi ma che scruta nei miti e nelle divinità classiche la straordinaria capacità archetipica di parlare di noi oggi, del nostro essere uomini. Descrivono la tipicità umana che resta immutata nel tempo.

Alessandro La Motta, Afrodite "Bella tra le belle", 2022. Courtesy of Stefanini Arte

 K: Perché realizza questo tipo di arte?

ALM: Fino qui ho parlato di interesse, di curiosità e ricerca, ma come artista, poi traduco questi interessi in un linguaggio.

Qui miti e divinità mutano di segno e di forma, mantenendo inalterato il loro fascino e la complessità, ma come artista, opero nel mio tempo. 

Creo i miei lavori con un bagaglio di storia e di narrativa, con la conoscenza e la ricerca sul mondo classico.                                                          

Non si presenta come mera archeologia, e tantomeno è nostalgia di un’età dell’oro.

Il mio intervento creativo, fonde anche un tratto materico, quasi magmatico e umori contemporanei: si sovrappongono tracce e cancellature, un supporto che sgretola, che si corrode (come nei supporti metallici, nel rame) e al contempo una figura o un tratto che descrive, che indica: è un lacerto.

Poi c’è la parola, la cifra poetica, quasi potessi affidare ai versi il pensiero che sottende all’opera, come con i carmi dei lirici greci, che irrompono nello spazio visivo, a farsi punto di sguardo, ma anche segno grafico e pittorico.

E poi c’è il grande flusso dell’arte che guarda all’arte e che ha il coraggio di guardare al mondo classico ed essere al contempo modernissima e attuale; come non pensare a Canova, la modernità del classico o a De Chirico, con le sue rovine su scorci di strade, a Kounellis, con le sue labbra d’oro a concettualizzare il tesoro di Micene o i Poirier. 

Immagine di copertina: Alessandro La Motta, Afrodite, 2022. Courtesy of Stefanini Arte 

A cura di Luca Stefanini