Home Magazine 15 Quadri Che Hanno Segnato La Storia Dell'Arte Contemporanea

Dagli inizi del XX secolo l’arte si è caratterizzata dal desiderio di sperimentazione. È infatti il secolo delle avanguardie, figlie della rivoluzione impressionista che le ha precedute cronologicamente e che si è imposta come una corrente essenziale per lo sviluppo di un nuovo modo di concepire l’arte figurativa e il ruolo dell’artista. Quali sono quindi i quadri di arte contemporanea che hanno segnato la storia dell’arte, rivoluzionandola e divenendone iconici?

Articoli correlati: Pittura ad olio nell’era moderna: contesto e caratteristiche di capolavori pionieristici - La fotografia d'autore come specchio del tempo. Definizione e aspetti tecnici - I 51 artisti contemporanei più popolari
 

Nel campo soprattutto delle arti figurative non è certamente semplice sviluppare una descrizione dell’arte prodotta a seguito della Seconda Guerra Mondiale fino ai giorni nostri, tanto che gli storici non ne hanno ancora individuato un’etichetta per identificare la produzione di questo periodo e che dunque la nomini. Per questo motivo decidere ciò che possa rientrare sotto la categoria di “arte contemporanea” è più complesso di ciò che si possa pensare.

Un aiuto ci può giungere dalle nozioni di Modernismo e Postmodernismo. Sotto il termine Modernismo rientrano tutte quelle opere d’arte prodotte dalla fine degli anni ’40 che si presentano come una messa in discussione delle proprietà intrinseche della pittura, come ad esempio la natura inevitabilmente piatta del supporto. Allo stesso modo anche tutta l’arte appartenente a quel movimento che viene definito Postmodernismo non si volge più ad una essenza disciplinare o ad una risposta etica all’esperienza: l’artista non deve più creare arte con l’obiettivo di interrogarsi continuamente attorno alla natura dell’arte stessa, ma diventa colui che, distruggendo le idee di specificità e originalità, si fa carico di una riorganizzazione delle immagini esistenti nel contesto di una società che è ormai la società del consumo tardocapitalista.  

È sulla base di questi presupposti che pertanto abbiamo selezionato quelli che potrebbero essere identificati come i quadri che hanno segnato la storia dell’arte contemporanea. Prima di elencarli però facciamo ancora una precisazione: se dagli inizi del Novecento, con il Cubismo e il Ready Made prima, e l’arte astratta poi, si assiste ad uno sconvolgimento della definizione stessa di arte come risposta al realismo onnipresente e dominante, dall’inizio degli anni Settanta lo sconvolgimento sarà ulteriore, con l’introduzione di Video Art, Performance, uso di nuovi media, che hanno parzialmente messo da parte l’esperienza artistica veicolata dall’oggetto quadro. Abbiamo scelto perciò di far comparire sotto questa categoria anche forme differenti di arte figurativa come la Street Art, i graffiti, ma anche collage e opere nate dall’utilizzo di materiali inusuali.

     

Josef Albers, Homage to the square “Towards Fall II”, 1961, Courtesy Sotheby’s

 

Josef Albers – Omaggio al Quadrato (1961)

Certamente, tra tutte le opere realizzate da Josef Albers, “Omaggio al Quadrato” è la serie che più lo ha rappresentato rendendolo immediatamente riconoscibile dal pubblico. Iniziata nel ’49, mette in scena le interazioni tra campiture di colore di forma rigorosamente quadrata, sovrapposte l’una all’altra e distinte per dimensione e tonalità. Generalmente la struttura formale è la stessa, dove lo spazio che separa i quadrati sul fondo del dipinto è la metà di quello che li separa sulla sommità.   

Lo scopo era quello di dimostrare come qualcosa di banale potesse diventare estremamente interessante. Protagonista dell’esperienza visiva diviene perciò la complessità della percezione cromatica, mettendo in evidenza la capacità di ogni tonalità di colore di mutare in relazione al contesto. Così facendo lo spazio pittorico assume diverse possibilità di lettura visiva, coesistenti tra loro e mai tra loro escludenti.

 

Jackson Pollock, Alchemy, 1947, © Pollock-Krasner Foundation / Artists Rights Society (ARS)

 

Jackson Pollock – Alchimia (1947)

Ancora sconosciuto al grande pubblico, seppur già sotto la protezione della collezionista d’arte statunitense Peggy Guggenheim, è a partire dalla data di produzione di questo quadro che emerge lo stile che in assoluto caratterizzerà Pollock, quello del “dripping”, ovvero della pittura schizzata o fatta colare direttamente sulla tela. Fino a quel momento si riconosce infatti nell’artista l'influenza di Pablo Picasso e del Surrealismo. È dalla fine degli anni Quaranta però che il pittore mette in opera la sua rivoluzione: una rottura definitiva con la tradizione pittorica fatta di pennelli e cavalletto, per introdurre l’uso dell’intero corpo, mettendo in scena una sorta di danza sulla tela. L’azione e il movimento diventano parte stessa del fare artistico. Pollock realizzava infatti le sue opere in uno stato di trance, dove il processo creativo era frutto dell’inconscio del pittore, una sorta di antico rituale di liberazione. Gli elementi strutturali dell’opera e i materiali utilizzati restano però chiaramente visibili. L’intento straordinario era infatti quello di sovvertire la pittura dal suo interno, senza abbandonarla, ma portandola al suo limite emancipando l’opera da ogni vincolo trascendentale: un’opera senza più centro o periferia, senza narrativa, un’opera dove ovunque c’è pittura.

 

Mark Rothko, No.6 (Yellow, White, Blue over Yellow on Gray), 1954. Olio su tela, 2,4 x 1,5 m. Collezione Gisela e Dennis Alter.

 

Mark Rothko – No.6 (Yellow, White, Blue over Yellow on Gray) (1954)

Sempre appartenente alla Scuola di New York, ma per certi versi un “anti-Pollock” nell’approccio, Mark Rothko viene identificato con il movimento cosiddetto del “Colorfield Painting” (pittura delle campiture): tele generalmente di grandi dimensioni, nelle quali la superficie pittorica viene divisa in rettangoli dai confini fluidi dipinti con una distribuzione omogenea del colore. “Siamo per le forme bidimensionali – scriveva Rothko in una sorta di manifesto nel 1943 – perché distruggono l’illusione e sono veritiere […] Noi crediamo che il soggetto del quadro sia essenziale e che abbia valore solo quando è tragico e senza tempo”. Quelli del pittore naturalizzato statunitense sono a tutti gli effetti capolavori “tragici”, finestre sull’incomprensibilità dell’io più profondo. Lo scopo non è pertanto quello di creare una nuova estetica, quanto piuttosto di provocare reazioni emotive attraverso un linguaggio del tutto nuovo e personale che gli consente di semplificare visioni complesse permettendo allo spettatore una contemplazione intima e raccolta. Una pittura essenziale, contemplativa appunto, dove è la materia cromatica a farsi protagonista dal valore spirituale.

 

Lucio Fontana, 59 T 49: Concetto spaziale, Attese, 1959, idropittura e olio su tela, Courtesy Fondazione Lucio Fontana

 

Lucio Fontana – 59 T 49: Concetto spaziale, Attese (1959)

Parlando di arte basata sul gesto, non potevamo che fare riferimento ai famosi “tagli” di Fontana. Questa è una delle prime opere che rappresenta questo gesto, divenuto poi emblematico dell’artista padre dello spazialismo. Mentre infatti in questo periodo, come abbiamo visto, negli Stati Uniti si lavora ancora con la specificità del media della pittura, in Europa nasce una nuova sensibilità che cerca di andare ulteriormente oltre al media stesso.

Il titolo dell’opera, così come la maggior parte delle sue opere di questo tipo, riporta in sé due elementi: “concetto spaziale” e “attese”. Ma cosa vogliono significare? Innanzitutto, l’arte, in quanto materia fisica, non potrà mai anelare all’eternità, seppur rimanendo un essenziale innato bisogno umano; ecco che allora sarà la dimensione del gesto, impossibile da distruggere, a renderla eterna superandone la materialità. Questo gesto permette inoltre una nuova conquista dello spazio, non più bidimensionale (pittura), ma nemmeno statico (scultura), una nuova dimensione al di là della tela (ricordiamoci che questi sono anche gli anni delle prime spedizioni lunari e quindi dell’esplorazione di un effettivo spazio “altro” da quello terrestre). Infine, “attese” è il termine con cui l’artista definiva i suoi tagli: non squarci appunto, ma aperture al nuovo, spazi ignoti dall’altro lato della tela che attendono di essere colti.       

 

Richard Hamilton, Just what is it that makes today’s homes so different, so appealing?, 1956, collage su carta, via Wikipedia

 

Richard Hamilton – Just what is it that makes today’s homes so different, so appealing? (1956)

Cambiamo “genere” attraverso un deciso ritorno all’immagine in una sorta di nuovo realismo, e passiamo alla molto amata Pop Art con un quadro emblematico di questo movimento a cui Richard Hamilton ha convenzionalmente dato avvio. Il titolo si domanda ironicamente cos’è che rende le case moderne così diverse e soprattutto così attraenti. I due protagonisti della scena sono il body builder Irvin “Zabo” Koszewski e la famosa modella pin-up di riviste erotiche Jo Baer: entrambi simboli e icone della nuova società dell’eccesso, della fama, del desiderio di successo, diventano centro emblematico di questa sorta di manifesto del nuovo stile di vita da “baby boom”. È la glorificazione del consumismo americano, dell’importanza dell’estetica e della pubblicità – tanto che l’opera si compone proprio come collage di immagini provenienti da magazines – in una società che ha fatto del tempo libero e del confort il proprio mito, rendendo a propria volta l’arte stessa un prodotto iconico e di consumo. Per tutto questo filone, da qui in avanti, l’immagine pertanto diventerà assoluta protagonista di un mondo dell’apparire.

 

Andy Warhol, Gold Marilyn Monroe, 1962, Courtesy MoMA

 

Andy Warhol – Gold Marilyn Monroe (1962)

Non servono presentazioni per uno dei quadri (e soprattutto degli artisti) più celebri del XX secolo. L’anno di produzione di questa opera ormai assolutamente iconica precede di qualche anno, e ne sarà anche in un certo senso lo stimolo, la fondazione della “Factory”, lo studio dove Warhol insieme ai suoi collaboratori diede definitivo avvio alla Pop Art diventando punto di ritrovo per artisti e star dell’epoca. 

“Gold Marilyn Monroe”, che verrà più tardi riprodotto in serie nella forse ancor più famosa opera “Marilyn” del ’67, viene prodotto in seguito alla morte dell’attrice, leggenda e icona assoluta del suo tempo. Il volto della donna è rappresentato con colori innaturali, elettrici, che appiattiscono l’immagine, tanto da diventare una sorta di cartoon. Una piattezza che pone come un velo tra l’immagine e lo spettatore, accentuando una distanza che viene ulteriormente amplificata dal campo dorato che la circonda: Marilyn così ritratta ricorda allora le icone religiose della storia dell’arte cristiana, un’icona però simbolica ma irreale, che rende impossibile l’identificazione con l’essere umano che vi è dietro il mito.

Tutti i ritratti di Marilyn Monroe disponibili su Kooness.com

 

Roy Lichtenstein, Crying Girl, 1963, © Estate of Roy Lichtenstein – SIAE 2018

 

Roy Lichtenstein – Crying Girl (1963)

Le grandi tavole di ispirazione fumettistica sono certamente le tele più celebri e iconiche di Roy Lichtenstein, l’ultimo artista che abbiamo selezionato come rappresentante della Pop Art, collega di Warhol ma estremamente diverso nello stile e nel concetto. Tavole gigantesche e spesso angoscianti, rappresentano il più delle volte donne in difficoltà, come nel caso di “Crying Girl”, opera tra le più emblematiche. Queste ragazze molto belle, spesso bionde, sono ritratte sempre infelici ma anonime e fuori contesto, lasciando allo spettatore la possibilità di immaginare la loro storia. Riprendendo le illustrazioni dai fumetti, a primo impatto le due immagini possono sembrare identiche, ma in realtà a ben vedere sono numerosi gli elementi distintivi: non si tratta infatti di stampe o riproduzioni meccaniche o industriali, ma di una mescolanza di tecniche manuali (disegno, pittura) tra cui una su tutte la tecnica dei Ben-Day dots. In questo modo l’immagine non è più una riproduzione in serie per la massa ma esattamente al contrario un’immagine che l’artista rende propria.

 

Francis Bacon, Study for a head, 1952, © Sotheby's

 

Francis Bacon – Study for a head (1952)

L’oscurità dei dipinti di Francis Bacon, pittore della violenza e della morbosità, non ha precedenti. Sorto all’attenzione internazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale, Bacon mantenne sempre una posizione di ricerca isolata rispetto al contesto a lui circostante, seppur all’interno dell’ambito figurativo, con forti influenze derivanti dal nichilismo, dall’esistenzialismo e dalla psicanalisi. “Study for a head”, più comunemente identificato come “Ritratto papale” per la presenza del mantello viola e del colletto bianco, è uno dei cinque ritratti che il pittore realizzò su ispirazione del “Ritratto di papa Innocenzo X” di Velazquez. La perfetta quiete dell’Innocenzo velazquiano viene qui mutata in un grido disperato: vittima urlante, il Papa sembra essere incatenato alla sedia, impossibilitato a fuggire ed in preda ad una psicosi. Il quadro diventa emblema del senso delle opere dell’artista: mostrare la totalità dell’esperienza dell’essere umano in tutta la fragilità e vitalità che ne caratterizza la condizione esistenziale, attraverso una pittura dalla crudezza senza filtri.  

 

Jean-Michel Basquiat, Irony of the Negro Policeman, 1981, © Jean-Michel Basquiat

 

Jean-Michel Basquiat – Irony of the Negro Policeman (1981)

Nel 1981 Jean-Michel Basquiat realizza quest’opera dal forte impatto critico, come già il titolo ci suggerisce, ed indirizzata ai cittadini afroamericani dei quali anch’egli era parte. Lo scopo era quello di ribadire quanto la società dei “bianchi statunitensi” considerasse gli afroamericani non solo elementi pericolosi da controllare, ma in un certo senso ancora schiavizzabili. Immaginare un poliziotto afroamericano diventa così una possibilità a tal punto impensabile da divenire ironica, nell’assurdità dell’idea che possa essere proprio colui che è sottoposto ad un maggior controllo ad imporre questo stesso controllo al resto della società.

Tutto il lavoro di Basquiat si è concentrato sulla necessità di affrontare il tema del razzismo nelle sue forme più quotidiane, legando le tristi storie di colonialismo e schiavitù alle forme persecutorie a lui contemporanee, facendosi così portavoce di un’istanza essenziale e, al tempo stesso, agente di cambiamento.    

 

Haring Keith, Tuttomondo, Pisa Mural, 1989, © The Keith Haring Foundation

 

Keith Haring – Tuttomondo, Murales di Pisa (1989)

Presentiamo adesso un’opera che non fa parte della categoria “quadri” ma che, come abbiamo detto in precedenza, si inserisce nel naturale sviluppo contemporaneo delle arti figurative. Parliamo dei famosissimi (e coloratissimi) murales di Keith Haring, tra i padri della Street Art. Haring dà vita ad un mondo di fantasia abitato da strani personaggi stilizzati, i “radiant-boys”, pieni di vita, che fanno capolino nei luoghi meno fantasiosi del quotidiano e delle città, attraverso un racconto della quotidianità che parla di tutti noi. Tutti si possono infatti riconoscere in ognuno di questi omini colorati, stilizzati e privi di connotazioni che li possono rendere identificabili, ma pieni di forza e di vitalità. I colori (giallo, blu, verde e rosso i più utilizzati) sono accesi e ben delimitati da linee bianche o nere. Non vi sono riflessi o giochi di luce, ma tutto richiama il mondo dei cartoni animati. Un’arte aperta a tutti, non più sottomessa alle regole accademiche che richiedono una distinzione tra arte “alta” e “bassa”, ma che abbatte le barriere facendo delle città immense tele da dipingere.

 

Barbara Kruger, Untitled (Your body is a battleground), 1989, photographic silkscreen on vinyl, © Barbara Kruger

 

Barbara Kruger – Untitled, Your body is a battleground (1989)

Era il 1989 e le donne statunitensi marciavano per le vie di Washington contro la legislazione antiabortiva, sotto lo sguardo di un’altra donna il cui volto – disincarnato, diviso in esposizioni in positivo e in negativo – era protagonista di un manifesto riportante la scritta “Your body / is a / battleground” (Il tuo corpo è un campo di battaglia). Quel manifesto contemporaneamente artistico e di denuncia e protesta era firmato da Barbara Kruger, che da quel momento sarebbe diventata l’artista icona dei diritti delle donne attraverso immagini dal potere atemporale nelle proprie dichiarazioni. Le immagini scelte dalla Kruger e le parole ad esse abbinate fondono il mondo dei media con quello dell’arte in un modo però del tutto nuovo: le questioni sociali e politiche vengono affrontate con il linguaggio a loro proprio ma mettendo in atto una critica diretta ed autorevole che distrugge ogni gerarchia culturale.

Kara Walker, The Battle of Atlanta: Being the Narrative of a Negress in the Flames of Desire - A Reconstruction, 1995, ritagli di carta su fondo adesivo, Foto: Sotheby’s

 

 

Kara Walker – The Battle of Atlanta: Being the Narrative of a Negress in the Flames of Desire - A Reconstruction (1995)

Un’altra artista donna e afroamericana paladina della difesa dei diritti è Kara Walker. L’artista attraverso le sue opere narra storie che pongono l’attenzione sulle questioni di potere, di razza e di genere esplorando temi quali la sessualità, la violenza e l’identità. Internazionalmente nota per le sue “silhouette” di carta nera intagliata, che fa vivere attraverso diverse modalità di rappresentazione che vanno dal collage su vari supporti ai disegni a tempera, miniature, proiezioni di giochi d’ombra o marionette, mette in mostra un’arte sempre socialmente impegnata. Queste semplici figure, a primo impatto sinuose e che lasciano solamente intuire i dettagli più intensi del racconto, diventano profondamente turbanti man mano che il racconto appunto si delinea. In ambienti all’apparenza bucolici prendono così forma scene di esecuzioni, di tortura, di sesso, dove protagonisti sono figure di vittime sofferenti e di carnefici violentatori: figure che sembrano danzare in un teatro che in realtà si fa grottesco.

 

Anselm Kiefer, Ave Maria, 2007, dried roses, earth, lead and canvas on cardboard, via Sotheby’s

 

 

Ansel Kiefer – Ave Maria (2007)

Noto in Italia soprattutto per i “Sette Palazzi Celesti” esposti al Pirelli HangarBicocca, presentiamo qui Ansel Kiefer nella sua versione d’avanguardia pittorica. 

Il fondamento tematico chiave dell’opera di Kiefer è l’analisi della filosofia, della mitologia e dell’alchimia. L’opera “Ave Maria”, eseguita nel 2007, rappresenta esattamente questa composizione intellettualmente complessa che mescola in sé mitologia, storia e linguaggio mettendo in luce il forte interesse dell’artista per questi temi e la sua spiccata capacità di renderli visivamente accattivanti in una forma nuova. Il forte interesse per le caratteristiche non solo fisiche ma anche in un certo senso metafisiche dei materiali, delle loro implicazioni, rende il suo stile una sorta di ibrido tra pittura e scultura attraverso l’uso di diversi mezzi in un’unica opera. “Ave Maria” è infatti composta non solo da strati di pittura, ma anche da gesso, detriti, materiali terrosi, rose secche: elementi lavorati in modo tale da mostrare il senso di natura nell’opera.    

 

Takashi Murakami, Flowers Blooming in this World and the Land of Nirvana (1), 2013, via Artspace

 

Takashi Murakami 村上 隆 – Flowers Blooming in this World and the Land of Nirvana (2013)

I celebri “fiori” sono tra i disegni in assoluto più noti di uno degli artisti più seguiti e gettonati del momento, soprattutto dalle ultime generazioni. Fanno parte della nuova corrente artistica a cui Takashi Murakami dà vita nel 2001 e che prende il nome di “Superflat”: un’unione di Ukiyo-e, lo stile bidimensionale giapponese, e l’estetica propria dei manga. Disegni che non hanno soltanto un puro significato estetico ma che hanno lo scopo di veicolare messaggi di critica alla società e alla piattezza che la caratterizza, attraverso la messa in opera di un mondo fantasioso pieno di colori, energia, immagini derivanti dalla cultura giapponese; il tutto rappresentato con un totale rifiuto della prospettiva. L’artista giapponese mette in atto un completo livellamento tra arte “per tutti” e arte “per pochi” riproducendo una stessa iconografia in opere che possono valere milioni di dollari (come, per esempio, nelle sculture) o alcune decine per accessori di vario genere. Il consumismo viene così al tempo stesso criticato e celebrato generando qualcosa che nel mondo dell’arte si presenta come del tutto innovativo.

 

Banksy, Girl With Balloon, 2002, stencil, acrilico su carta. Londra, Shoreditch

 

Bansky – Bambina con il palloncino (2002)

Chiudiamo la nostra carrellata con l’artista dall’identità ancora ignota più celebrato e “ricercato” nelle città in cui improvvisamente i suoi messaggi prendono forma.

La “bambina con il palloncino”, che da murales diventa quadro per opera dello stesso Bansky nel 2014, rappresenta una bambina in piedi, il vento che soffia dietro di lei, con un braccio sollevato dal quale lascia andare un palloncino rosso a forma di cuore; accanto all’immagine l’iscrizione “There is always hope” (C’è sempre speranza) ne rende chiaro il messaggio. Questo graffito può essere individuato come uno di quelli più emblematici del suo lavoro, non solo perché la protagonista è, come spesso accade nelle sue opere, una adolescente, ma anche perché più volte ripresa in vicende chiave del lavoro artistico di Bansky. Nel 2012 infatti, in concomitanza con l’inizio del terzo anno di guerra in Siria, l’artista britannico ne ha pubblicato una rivisitazione dando alla bambina le sembianze di una profuga di guerra in sostegno alla campagna #WithSiria. Nel 2018 inoltre l’opera è stata al centro di uno scandalo: messa all’asta dalla famosa casa d’arte Sotheby’s, non appena fu battuta la vendita il quadro improvvisamente di autodistrusse sotto gli occhi sorpresi degli spettatori.

Bansky definisce le sue opere “existencilist”, un neologismo nato dall’unione dei termini esistenzialismo e stencil, rendendo chiaro il suo intento di dare voce attraverso i suoi graffiti al mondo degli ultimi, a temi quali la povertà, la guerra, l’emergenza ambientale e la migrazione, in una forma di critica alla società dei consumi.

 

Immagine di copertina: Banksy, Girl With Balloon, 2002, stencil, acrilico su carta. Londra, Shoreditch

Scritto da Noemi Forte.

Restate sintonizzati su Kooness magazine per altre interessanti notizie dal mondo dell'arte.